venerdì 19 ottobre 2012

Laurea... Una scelta di vita errata?




Appropinquandosi, sebbene lentamente, l'ora della (seconda) laurea e il conseguente abbandono del "dorato" mondo universitario uno si trova, suo malgrado, a porsi delle domande riguardo al futuro e le scelte fatte.
In questi momenti è sempre piacevole leggere sui media di come il titolo di studio, in questo caso parliamo della Laurea, abbia progressivamente perso valore negli anni. In soldoni e senza tanti giri di parole: non è più un vantaggio quando si va a tentare di spenderla nel mondo del lavoro, anzi può addirittura diventare un intralcio (troppo qualificato anyone?)!
Eppure ricordo che quando scelsi di continuare a studiare (troppi anni addietro ahimè), che tanto dopo il liceo scientifico "che altro potevi fare?, ancora c'era un minimo di speranza e di fascinazione nell'idea di essere "Laureato".
Ora non più, sei sostanzialmente uno sfigato che ha gettato via gli anni migliori della tua giuovinezza per conseguire un pezzo di carta che probabilmente non ti farà avere un lavoro migliore, o meglio retribuito, del tuo amico d'infanzia che è andato a lavorare subito dopo le superiori (massimo rispetto per altro).
Della laurea di positivo rimane l'accrescimento culturale, che è sempre una cosa bella, ma è cosa nota quanto in Italia la cultura e l'essere acculturati siano cose tenuta in grande considerazione.
E' lecito chiedersi dopo quasi un decennio (shame on me) passato tra i banchi di UniFi se ne sia valsa la pena... Alla fine probabilmente sì, fosse anche solo per ciò che ho imparato e la gente che ho conosciuto, tuttavia non credo che essere un laureato, tanto più se in "Scienze della Comunicazione", mi cambierà la vita.
Magari "una volta" sarebbe stato diverso, ma come ricordato in un precedente post ragionamenti del genere lasciano il tempo che trovano.
Vale ancora la pena di andare all'Università in quest'Italia degli anni '10? Ai posteri l'ardua sentenza...

giovedì 11 ottobre 2012

Ognuno ha la decade(nza) che si merita...

Spesso parlando tra giovani (o comunque tra quasi trentenni) si sentono lamentele sulla grandissima sfortuna che la mia generazione (per capirsi i nati a metà degli '80) avrebbe avuto nell'avere vent'anni a cavallo degli anni '10 del 2000.
Tutti invariabilmente sentono che se fossero stati ventenni in un'altra epoca (e magari in un altro paese) le loro vite sarebbero state diverse, migliori. Che si parli  della California degli anni '60, della Parigi del '68, degli anni '70 (in generale) o della mitica (e mitologica) Firenze anni '80 inevitabilmente ci si immaginano più stimoli, più successo, più lavoro e quindi più soldi, più occasioni per "fare", più possibilità di esprimersi, e così via... Ultimamente inizia a sentirsi anche nostalgia dei bistrattati anni '90!
Nonostante riconosca che l'Italia del 2012 non sia decisamente un "paese per giovani" penso che quasi tutte queste turbe siano un po' generazionali e un po' paracule.
Da un lato perché chi ci racconta di quegli anni lo fa pensando ai tempi d'oro della sua vita, ed inevitabilmente tende ad esaltare ciò che di bello c'era e a rimuovere il brutto. Dall'altro la situazione per i quasi o i neo trentenni non è facile e quindi credo sia naturale immaginarsi come sarebbe stato vivere in periodi "mitici" del recente passato. Il rischio in questo è credere un po' troppo alla narrazione del "mito" e finire con l'esaltarne i lati positivi ed ignorarne i lati negativi. Per rifarsi agli esempi di cui sopra: la violenza e il terrorismo degli anni di piombo, il contesto sociale spersonalizzante della California anni '60, l'eroina nella Firenze anni '80, etc. Certo tutti vorremmo vivere in un periodo storico di grande fermento sociale e culturale, dove c'è lavoro, e ci  è data la possibilità di esprimersi completamente, ma purtroppo ognuno è figlio del proprio tempo.
E guarda caso non trovi mai nessuno che avrebbe voluto avere vent'anni nel 1942...